BEDFORD (England) –
E’ stato ricordato dagli amici, dai “colleghi” dell’Associazione Molisana del Bedfordshire, da tutti coloro che l’hanno amato in vita e continuano a mantenerne viva la memoria. A quattro mesi dalla scomparsa di Sabato Manocchio, a Bedford, sua patria d’adozione, sono stati celebrati i 56 anni dell’arrivo di questo capostipite dell’emigrazione molisana in Inghilterra, nel secondo dopoguerra. Da qualche anno Sabato, che si è spento all’età di 84 anni, era malato, da qualche mese non si alzava più dal letto, comunque è rimasto vigile fino alla fine. aveva detto al figlio, Fiorentino, che gli è stato sempre vicino, ma si è addormentato, un semicoma, il 30 dicembre, per risvegliarsi il primo giorno del nuovo anno, a casa propria.
Poi la morte, giunta il 22 febbraio scorso.
Sabato aveva lasciato Busso nel 1951, giunto a Bedford il 5 luglio di quell’anno. Solo qualche giorno prima (il 30 maggio 1951) erano giunti Carmine Del Greco e Giovanni Calardo, provenienti da Busso, e i fratelli Giuseppe e Nicola Valerio provenienti da Ferrazzano, in assoluto i primi emigranti molisani che abbiano messo piede sul suolo inglese dopo la terribile guerra che ha fiaccato l’Italia e gli italiani. Nato in una delle tante famiglie contadine di Busso, sette figli, di cui due morti in tenera età, Sabato aveva risposto ad un bando che reclutava manodopera all’estero.
Aveva scelto il Belgio, perché in quella terra tanti italiani erano andati a lavorare nelle miniere, ma la sua richiesta era stata convogliata sull’Inghilterra che, nel momento della ricostruzione post bellica, reclamava mano d’opera selezionata, giovani forti e in buona salute. Con Sabato giunsero a Bedford Carmine Martello, Giovanni Pinto, Osvaldo SEpede, Achille Coladangelo. Per cinque sterline la settimana, Sabato deve caricare mattoni, prodotti a ciclo continuo nella London Brick che li distribuisce in tutta la nazione e anche all’estero.
A Busso aveva lasciato la giovane moglie in dolce attesa, con la promessa di tornare a casa presto o di farsi raggiungere da lei una volta nato il bambino. Ma quel figlio della lontananza e del dolore non venne mai alla luce, portando con lui, nella tomba, la sua mamma che non aveva potuto abbracciare. All’epoca non era poi così raro morire di parto in un’Italia che stava cercando di ricucire le ferite di guerra nella miseria, nella disperazione di una generazione senza futuro. Non si telefonava, allora, non c’erano sms e cellulari. Per avvertire un marito lontano che attende le lettere della sua sposa non c’era che la corrispondenza ordinaria, con i suoi tempi.
Quando la lettera giunge a Bedford, si è già fatto il funerale, per quella mamma e quella creatura mai venuta al mondo. Il tempo, si sa, lenisce, ogni dolore, ma quelle ore, quei minuti d’incubo, Sabato non li dimenticherà mai. Certo, si rifà una famiglia, sposa una compaesana, dalla quale ha due figli, Fiorentino e Teresa, cura le ferite con l’amore di sua moglie, con l’affetto dei suoi bambini. Ma l’Italia e il Molise proprio non riesce a scacciarli dal cuore. Quel cuore grondante di dolore anela la Patria, accarezza la terra che gli ha dato i natali.
Non si può dimenticare Busso, quando ci sei nato, quando è lì che hai scoperto la vita e lì sono rinchiusi tutti i tuoi ricordi. Busso e il Molise li porti nel cuore, li lasci sedimentare, cerchi di non pensare, di non lasciarti sommergere dal ricordo, dalla nostalgia. Ma essa riaffiora di soppiatto, e ha il colore dei prati, del cielo, del grano maturo. Pensava forse al suo casolare immerso nel verde, Sabato, mentre caricava i mattoni che gli consentivano un’esistenza dignitosa.
Con quel desiderio di riscatto sempre pronto ad emergere, per dimostrare al Destino che ce l’aveva fatta, per raccontare a tutti che era riuscito a lacerare il velo della miseria che gli aveva impedito di restare. La parola non si usa più, oggi parliamo di Italiani nel Mondo, ma allora Sabato e gli altri come lui erano semplicemente “emigranti” e l’emigrazione è un qualcosa che ti porti dentro, quasi senza accorgertene.
Nel ’66 tutta la famiglia fa ritorno a Busso, ma nel frattempo due mondi si sono enucleati da un’unica ferita, e si allontanano inesorabilmente. Non è facile ricominciare da capo, quando ciò che hai lasciato ha proseguito per la sua strada, senza di te. Il Molise era uscito dalla crisi del dopoguerra, aveva quasi tradito chi se ne era allontanato, sperando di conservare ogni cosa sotto una teca di cristallo.
Quegli emigrati, che avevano lavorato duramente nel desiderio del ritorno, si ritrovavano in una terra che li considerava stranieri. Stranieri in Patria, stranieri nel Paese che li ospitava, senza più un’anima, senza certezze.
L’emigrazione, infatti, ha profuso sicurezze economiche, ma ha rubato ad ogni uomo e ad ogni donna in partenza, la certezza di un’appartenenza.
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